Il pittore che divora le donne by Kamel Daoud

Il pittore che divora le donne by Kamel Daoud

autore:Kamel Daoud [Daoud, Kamel]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2022-03-14T23:00:00+00:00


Il museo è il contrario della tomba

Ogni volta che sono in viaggio in Occidente, mi trovo davanti a un’evidenza. Qui, in questi luoghi, la storia è segno che si può toccare: oggetti, tele, corpi di pietra, collezioni, cumuli di splendori, archivi, inventari. È sufficiente che io ritorni dalle mie parti per ricordarmi che da me, da noi, nel sud prossimo al Mediterraneo, la storia è un culto ma con un altare vuoto, un tempo senza niente dentro. Sono nato in mezzo a della gente che ha il culto della storia, ma di una storia vuota, disincarnata, sognata. Non è perpetuata dai musei, dalle collezioni ma da narrazioni che fabbricano delle verità e risalgono a ritroso verso la loro origine. È una storia di addossamenti, di rifugi, di recessi, non di dispiegamento sul mondo. E allora, come qualche altro, mi pongo una domanda: che cos’è un museo a casa mia, nell’universo dei falsi ricordi su se stessi e sugli altri? È possibile il museo nei paesi detti “arabi”?

Mi pongo questa domanda fondamentale poiché intuisco, dopo anni, una sorta di impossibilità, di eresia verso l’esistenza dei musei nei nostri territori. Il rapporto con il reale e la memoria è condizionato da una finzione collettiva, una narrazione che non ammetterà mai questa breccia che potrebbe costituire le collezioni e le arti o le tracce antiche in questo monologo su se stessi.

Ricordi di musei a Orano o altrove, tristi, trasformati in hangar con le vetrate polverose, relegati sullo sfondo dalla narrazione fantasma su se stessi. Il museo è stato preso in ostaggio dalla leggenda agiografica della decolonizzazione e dalla finzione identitaria, e lo sarà ancora di più col trionfo dei pii maestri. Senza mai dirlo, questo luogo è percepito come inutile di fronte al resoconto fatto da un Dio attraverso un libro sacro. Dio ha detto tutto, i musei non hanno nulla da aggiungere. Il tempo si divide in due: prima la rivelazione e dopo la rivelazione. La vita è donata per essere attraversata come un’illusione, i popoli empi non possono perpetuare le loro tracce se non come rovine dopo la punizione celeste. E i popoli pii non possono avere altro scopo che il Giudizio finale, la fine dei tempi, il Paradiso o l’Inferno. Collezionare è appesantire l’effimero.

Del resto, a che serve conoscere le tracce nel deserto? Sulla sabbia? Avete mai visto una traccia di carovana diventare reliquia? Tutto è destinato alla cadenza del sole e della luna, qui, nella testa del mio personaggio. Niente è preservato: il Corano stesso – quando si traduce la parola – è un recital, un breviario, una oralità originaria, non un libro di carta o di pelle. Bisogna tenere a mente questa idea di precarietà, consentirà di comprendere meglio le mostruosità di Palmira e di Timbuctù.

Il museo è un’invenzione occidentale, non orientale. È un po’ il contrario del racconto, della narrazione. È esso stesso un controsenso, poiché la vita non è destinata a vincere il tempo ma a pazientare come nel mezzo di una prova.



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